RISCATTO MEDITERRANEO incontro con l'autore GIANLUCA SOLERA

“Un viaggio nel Mediterraneo che ritorna al centro della Storia, perché tutto è cambiato dopo la Primavera araba, per noi e per loro. Una narrazione letteraria che racconta di coloro che hanno preso in mano il futuro, sfidando morte e ingiustizia. Con le rivoluzioni arabe e i movimenti contro crisi e austerità che le ha accompagnate, questa parte del mondo è diventato il fulcro del cambiamento, dove si sperimenta un nuovo progetto di civilizzazione.”

Socr@te nel cloud Socrate nella città

con
ALESSIO CANDELORO
ARIADNA DONATELLA CASTILLO PARDI
MELISSA CAVUTO
FILIPPO CELSI
GIADA COSTANTINI
CHIARA LUCIA DE CESARE
VALERIA DE PAULIS
VICTOR PIOTR GIOACCHINO DE PESLIN LACHERT
NICCOLO' DI FLORIO
BEATRICE DI LALLO
NICOLO' GALASSO
DAVIDE IENGO
LIBERO MARIA MAROTTA
BIANCA MIANI
ALESSIA ORLANDO
ELENA PACIOCCO
MARTINA PASHO
LORENZO PECE
VALENTINA RIGANO
FRANCESCA SCURTI

docente referente per l'attività teatrale
prof.ssa FATIMA LEONE

commissione per l'attività teatrale
prof.ssa SIMONA CICCONE
prof.ssa FATIMA LEONE
prof.ssa MARIA TERESA SORELLA

progetto grafico
prof. DAVIDE COCOZZA

audio - illuminotecnica
EXTREME SERVICE

Note di regia
Lo spirito del Teatro rimodella la traccia dell’esperienza e la rende fruibile piegando lo spazio ed il tempo non tanto alle tre presunte unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, quanto alla costituzione di un legame tra generazioni, rivivificando dall’interno quella esperienza che investighiamo.
Attraverso una immagine è possibile scorgere significati diversi e accedere a molteplici sensi ulteriori che la stessa sottintende con discrezione, pronti a riaffiorare dinanzi a chi guardi, quando la sua sensibilità sia pronta a riconoscerli, e che, allora, si manifestano all’improvviso con illuminante chiarezza.
Immaginiamo di essere a Fort Worth, nell’area metropolitana di Dallas, in Texas, in una delle sale del Kimbell Art Museum, di fronte alla teca ove è custodito ed esposto un prezioso vaso attico attribuito al ceramista Duride: Dioniso siede sorridente sul trono, torce il busto a favore dello spettatore e regge un cratere di vino. Ruotando intorno alla teca scopriamo come la scena si sviluppi, sotto i nostri occhi, come il piano sequenza di un film: mentre un satiro suona il suo flauto doppio alcune baccanti danzano intorno al dio e gli rendono onore: stringono tra le mani brandelli di corpo: cosce e gambe strappate. Ruotiamo ancora: siamo, adesso, esattamente in posizione antipodale rispetto al dio: ecco due menadi che sorreggono dalle braccia un corpo monco da cui tragicamente pendono viscere scoperte. È il corpo di Penteo, mitico re di Tebe, dilaniato dalle sacerdotesse per non aver accettato di accogliere il culto di Dioniso.
Se Dioniso è il Teatro, Penteo è la città che lo rifiuta e perde se stessa e il suo corpo. Se Dioniso è il Teatro, Penteo è la scuola, se lo rifiuta, che perde se stessa e il suo corpo, magari non colla violenza suggerita dalla raffigurazione della morte di Penteo, ma in modo quasi da non sapersene accorgere, quasi da non potersene accorgere, facendosi nuvola incorporea, portatrice vana di competenze, e non più corpo insegnante nella ulteriore possibilità che, anche attraverso il teatro, le offre la locuzione.
Impostare gli incontri di recitazione secondando le necessità che l'obiettivo di un saggio impone, rischia di farci smarrire il senso più profondo del fare teatro: non l'esito finale, ma il percorso: l'attraversamento di quel fiume che da una riva nota ci porta a scoprire non solo l'ignoto territorio che è l'altra sponda, ma il fiume stesso che attraversiamo - e che in qualche modo ci attraversa e ci rimodella - vero luogo dell'apprendere. Mettere in scena le prove, alla ricerca del senso del proprio lavoro, imparando la misura del gesto e il respiro del corpo nel testo, cercando il giusto equilibrio tra parola e silenzio, significa esporsi molto più di quanto sia richiesto in una rappresentazione compiuta, dove scenografie e costumi non costringono l'attore alla nudità che la prova richiede. In essa vi è tutta l'ebbrezza gioiosa dell'erranza e il rischio dell'inciampo nell'errore, due meravigliose, preziosissime fonti dell'apprendimento.
Socrate arriva a noi attraverso la mediazione operata da Platone ma anche da Aristofane, che ce lo presenta polemicamente come il primo dei sofisti. Una perlustrazione delle fonti fornisce l’occasione di una ricostruzione olografica del personaggio: da un lato l’allievo che ci presenta il suo Maestro nel suo muoversi dentro la città, nella sua erranza dentro il microcosmo della città - che corrisponde al viaggio dentro la vita - dedicandosi all’arte maieutica attraverso cui egli, ostetrico della verità, aiuta se stesso e ognuno alla propria lacerante e gioiosa rinascita; dall’altro il commediografo che lo accusa polemicamente di essere maestro di tutti i sofisti, padre di tutti i sofismi e causa dei mali che affliggono la città stessa. Al centro gli studenti, coi loro ritmi quotidiani, col loro procedere distratto ed esuberante tra le contraddizioni di questo tempo e lo studio di un vago, mitologico altro tempo - più o meno lontano o vicino - in cui tutto era diverso; col loro sguardo implacabile e la loro incontenibile sete di dare nome alle cose, alle emozioni, al mondo che si manifesta sempre nuovo attorno a loro - nelle modalità che sono sotto gli occhi di tutti - privilegiando le immagini alle parole, fino al punto da perdere le parole e l’articolazione dei pensieri e non saper più dire.
Perdere le parole: rischiamo di scoprirci anestetizzati, incapaci di muoverci, a disagio nei nostri corpi quasi estranei, le nostre mani impegnate dalla nostra unica, effimera luce nella rete, il nostro terminale portatile, specchio tascabile delle nostre brame, a cui poniamo domande retoriche, il pollice opponibile quasi non servendo ad altro che a digitare relazioni virtuali, espresse in sentimenti acronimi, inizialismi solo consonantici. Perdiamo le vocali, la voce, le voci, - l’udito, la capacità di ascoltare.
Dunque: ascoltare la città, entrare in relazione colla sua memoria e la sua mitologia, più o meno recente. Cogliere l’occasione pur tragica di una distruzione per investigarne, poi, i modi della rinascita. Questo è l’obiettivo. E nel mezzo, tra la città che c’era e quella che c’è, quella che avrebbe potuto essere. Una città a misura d’uomo, che è la misura giusta, una città luogo generatore di vita, di relazioni, di senso, di sogni, di emozioni e sentimenti; una città luogo di incontro, all’interno della quale esiste, tuttavia, un fiume: luogo di passaggio, confine, limite. L’idea di lavorare al reperimento di tutte le testimonianze relative al bombardamento di Pescara, offre, in prospettiva, lo spunto per sperimentare una sorta di mediazione culturale verticale, tra generazioni. E questo lavoro su Socrate è il primo passo di un progetto di più lungo respiro.
Immaginiamo di essere in teatro, adesso, prima dell’inizio di una prova, in un momento in cui i ragazzi tentano di riordinare le idee intorno al materiale che è stato oggetto del loro studio.
Domenico Galasso

Un bastimento carico di piccoli Mozart

composizione drammatica e regia
a cura di
Domenico Galasso
Alfredo Troiano